La nuova formulazione dell’art. 348 del Codice penale, così come modificato dall’art. 12 della legge 3 del 11 gennaio 2018,prevede:
– il forte aumento del periodo massimo di reclusione (che viene elevato da sei mesi a tre anni);
– l’aggiunta, alla reclusione, di una elevata sanzione pecuniaria (mentre nel precedente articolo la sanzione pecuniaria era alternativa, e non aggiuntiva, alla pena detentiva); – il fortissimo aumento della sanzione pecuniaria (il cui minimo passa dai precedenti 103 euro agli attuali 10.000 euro mentre l’importo massimo passa a 516 euro e 50.000 euro);
– la pubblicazione obbligatoria della sentenza;
– qualora il soggetto condannato faccia parte di un Albo professionale, la trasmissione obbligatoria della sentenza a questo ultimo per l’applicazione di provvedimenti disciplinari;
– l’ulteriore inasprimento della pena, sia detentiva che pecuniaria, nei confronti del professionista che induca altri ad incorrere nel reato di esercizio abusivo di attività professionale.
Il nuovo testo dell’art. 348 cp, entrato in vigore dal 15 febbraio 2018, è il seguente:
“Esercizio abusivo di una professione
Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato [c.c. 2229] è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.
La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.
Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.”
come si vede, con il fortissimo inasprimento delle sanzioni penali e -congiuntamente- di quelle pecuniarie, il legislatore ha voluto creare un effettivo deterrente all’esercizio abusivo dell’attività professionale, così rafforzando l’importanza dell’appartenenza ordinistica per svolgere determinate attività nonchè la funzione degli Albi professionali.
Deve infine essere valutata l’applicabilità del nuovo art. 348 cp anche ai soggetti iscritti in un Albo ma sospesi -per qualunque ragione-; più precisamente se sia da considerarsi “reato penale” l’esercizio di attività professionale da parte di un iscritto all’Albo che abbia a trovarsi in condizione di momentanea sospensione.
Per rispondere a tale domanda occorre riferirsi alla “ratio” del citato art. 348 cp, volto a tutelare sia la fede pubblica che l’interesse generale a che determinate professioni vengano esercitate esclusivamente da chi sia in possesso degli specifici -ed elevati- requisiti di competenza tecnica e culturale richiesti dalla legge, e li mantenga nel tempo, insieme a particolari requisiti morali, il cui controllo e verifica sono deputati i rispettivi Albi professionali (da cui ne discende l’obbligatorietà dell’iscrizione).
Essendo pacifica la circostanza che l’iscrizione debba essere effettiva ed attuale (cioè nel
pieno rispetto di tutte le disposizioni di legge) appare evidente che la sospensione dall’Albo, facendo venir meno il presupposto dell’ attualità dell’iscrizione, impedisce all’iscritto sospeso di esercitare la professione e, nel caso egli la svolga, lo fa incorrere nel reato penale di cui all’art. 348 cp.
In questo senso milita anche la giurisprudenza di merito (Corte Suprema di Cassazione
penale, sentenza 24 maggio 2007 n. 20439 nonchè sentenza 6 maggio 2014 n. 18745).